domenica 23 settembre 2012

Castagna

Storia
I frutti, contenuti in un riccio che a maturazione si apre in quattro valve, sono rivestiti da un pericarpo liscio e coriaceo il cui colore varia dal marrone chiaro al bruno scuro. All'interno, rivestiti di una sottile pellicola (episperma), si trovano due cotiledoni di polpa bianca, sapida, dolce, nutriente, energetica, digeribile se masticata a lungo.
Nella Valle del Senio per castagna si intende comunemente quella secca mentre la castagna fresca è comunemente conosciuta come marrone perché nella zona è predominante da tempo quest'ultima varietà pregiata di castagna. Il marrone presenta queste caratteristiche: pezzatura superiore; fruttificazione prevalente a uno o due soggetti per riccio; frutto senza solchi approfonditi nella massa cotiledonare; pericarpo di tinta brillante chiara, marcato da striature di tinta più scura; episperma sottile, non approfondito nei solchi cotiledonari e facile a staccarsi; pasta farinosa, zuccherina, consistente, saporita, resistente alla cottura.

Dice il Mattioli: "Sono le castagne frutto notissimo à tutta Italia e similmente gli alberi che le producono, nondimeno in Toscana solo sono le domestiche e le selvatiche. Le domestiche facilmente si mondano, e sono di questo in prezzo a quelle, che si chiamano Marroni, per essere molto più grosse, e molto più belle dell'altre. Nelle montagne ove si ricoglie poco grano, si seccano su le grati al fumo, e poscia si mondano, e fassene farina: la quale valentemente supplisce per farne pane. Ristagnano le Castagne, e massime le secche, valentemente i flussi stomachali, e del corpo, e vagliono à gli sputi di sangue. Peste con mele, e con sale, s'applicano utilmente in su 'l morso del can rabioso.
Risolvono le durezze delle mammelle, impiastratevi suso con aceto, e farina d'orzo. Provocano al coito, per essere molto ventose. Mangiate abondatemente ne i cibi, fanno dolere la testa: generano ventosità, stitticano il corpo, e son dure da digerire. Ma quelle, che s'arrostiscono sotto alla cenere, rimettono assai del nocumento loro, mangiate poscia con pepe, e con sale, over con zucchero.
La scorza interiore delle castagne, che rosseggia, bevuta al peso di due dramme con vino brusco, ristagna tutti i flussi grandi del corpo, e parimenti gli sputi di sangue, e con il pari peso di limatura d'Avorio ristagna anchora i mestrui bianchi delle donne, e massimamente bevuta con acqua di fiori di nenufaro bianco".
Anche il modenese Giacomo Castelvetro, nei suoi appunti londinesi, si è dilungato sui tanti modi di cuocere le castagne,che più di altri frutti gli ricordavano l'Appennino emiliano romagnolo:
"Abbiamo noi le castagne che questa nazione non ha, le quali volendole mangiare, a diverse maniere si cuociono, se bene ancora crude se ne mangi; ma i più, cocendole, le arrostiscono, poste in una padella pertugiata sopra la vampa del fuoco, o sotto le calde ceneri, e con sale e con pepe le mangiamo; e invece del zucchero, che qui usano, noi usiamo il succo d'aranzi.

Se ne cuociono poi in acqua sola, e queste chiamansi lesse, le quali vengono più da fanciulli e dalla bassa plebe, che dagli uomini civili e maturi, mangiate.
Ne cuociamo ancora in ottimo vin bianco dolce, nel quale avendo alquanto bollite, di quel si tranno e si pongono a seccare al fumo; e così acconcie son fuori di modo buone, e chiamansi biscottelli, e per tutto l'anno si conservano. Se ne secca molta maggior quantità pure al fumo, senza cuocerle, poste sopra graticci; e poi, mondate, si conservano due anni e più; e le nostre donne di queste quando vengono le rose, delle più grosse, che sono i marroni, parte guardano (conservano) in ceste overo in casse con foglie di rose, ove diventano tenere e odorifere molto. Delle altre così secche, ma più picciole, ne fan farina e pane, ch'è molto dolce, ma anzi che non insipido.
Altri avendole fatte un poco in acqua assai calde stare, levano da quelle la seconda corteccia e poi ne fan diversi mangiari, cocendone nel fior di latte; e son molto buone; e n'empiano i capponi, le oche e i galli d'India che vogliano arrostire, con susine secche, uva passa e pane grattugiato. Migliaia dè nostri montanari di questo frutto si cibano in luogo del pane, il quale o non mai, overo di rado, veggono.
Quando essi han dovizia di castagne e di latte, poco si curano di pane né di vino, e quivi si veggono uomini ben fatti e robusti, quantunque in vita loro non vedessero mai pane". Sembra dunque avere fondamento un antico detto che, giocando su un palese doppio senso, sosteneva: "I marroni fanno forte la razza".
Certamente castagne e marroni hanno salvato la "razza montanara", assicurandone la sopravvivenza da novembre a marzo sotto le tante forme alimentari che il bisogno aveva saputo inventare: aròst, balôs, castrôn, spasimanti, cuciàrol e così via, e non a caso il castagno è chiamato anche "l'albero del pane".
Per questo la popolazione montanara seguiva passo passo la crescita e la maturazione delle castagne, verificando la corrispondenza tra il ciclo della natura e il calendario liturgico, a cominciare dalla fioritura: Par San Jacum e Sant'Ana,/ e liga la castâgna (Per San Giacomo e Sant'Anna (25 e 26 luglio)/ allegano i fiori di castagno).
Le castagne, come ricorda la saggezza popolare, cominciano a formarsi a metà agosto, festa dell'Assunzione della Vergine: Par Santa Maria/ la castagna la cria, e per San Matteo, 21 settembre, si possono mangiare le prime castagne bianchicce (ma si dovrebbe dire i primi marroni), estraendole a forza dai ricci: Par San Matè/ o s-mâgna i cè.
Ma è per San Luca, 18 ottobre, che la castagna giunge a maturazione, come annuncia il proverbio: Par San Loca,/ la castâgna la s'plòcca (Per San Luca,/ la castagna si pilucca). Ovviamente castagne e marroni, così conosciuti e consumati, sono entrati in tutte le espressioni della cultura popolare romagnola, a cominciare dagli indovinelli: E pêder lungagnô,/ la mêder spinusêla,/ la fjôla tânta bêla,/ che tot la vò spusê (Il padre spilungone,/ la madre spinosetta,/ la figlia tanto bella,/ che tutti la vogliono sposare). Come è naturale, visto il nome e la forma dei marroni, di indovinelli se ne trovano anche col doppio senso: E pôver Pipistròch,/ a caval d'do bròcch,/ u-i chesca i su calzôn,/ e mostra isu marôn (Il povero Pipistroch,/ a cavallo di due rami,/ gli cascano i suoi calzoni,/ mostra i suoi testicoli).

Tra i modi di dire troviamo Fè un marôn, cioè commettere una grossa sciocchezza, un errore marchiano e Cavè la castagna da è fog con la zampina de gât (Togliere la castagna dal fuoco con la zampa del gatto), nel senso di fare qualcosa a proprio vantaggio lasciando i pericoli agli altri. Per quanto riguarda il simbolismo il castagno rappresenta la giustizia, sembra perché ai suoi frutti, gustosi ma celati sotto una scorza dura e spinosa, si deve rendere giustizia quando si assaggiano. Nel linguaggio blasonico il castagno lo vediamo accennato come indice di virtù nascosta, di resistenza, di virtù e di fede inalterabili.
Tuttora castagne e marroni vengono consumati freschi o secchi, lessati o arrosto, canditi o come ripieno del tacchino o in torte e confetture. Le castagne secche bollite sono emollienti pettorali, mentre le castagne lessate, passate attraverso il setaccio, possono essere propinate ai bambini con la diarrea.
La farina di castagne secche è un ottimo sostitutivo di pane, patate, pappe e dolci. Oltre ad essere un alimento altamente nutritivo, ma sconsigliato ai diabetici per l'alto contenuto in glucidi, la castagna è utile a quanti soffrono di stati di avitaminosi e a coloro che abbisognano di un apporto minerale. Parimenti essa è un prezioso alimento per coloro che, superato un periodo di debilitazione, devono recuperare le forze perdute.
Anche in cosmesi le castagne vengono in soccorso dell'uomo (e della donna): l'acqua di cottura delle foglie e delle bucce nell'ultimo risciacquo ridona ai capelli morbidezza e lucentezza, oltre un vago tono ramato. Le castagne lessate, sbucciate, liberate dalla pellicina, passate al setaccio, unite ed amalgamate con acqua, latte o olio di mandorle dolci, a seconda dei casi, svolgono un'azione detergente, schiarente ed emolliente.